Vieni a scoprire la storia di Speranza
Aggiornato il 17 Giugno 2022
Filastrocca della Speranza
C’era una volta… SPERANZA
Ovvero, quando al porto impararono cos’è il futuro
A un certo punto della costa, si apriva una grande insenatura a forma di semicerchio: lì era stato edificato il porto. Vi erano attraccati pescherecci, barche a vela, barche a motore, un paio di traghetti e qualche piccola barchetta a remi. Ma tutte le imbarcazioni, a dire la verità, erano ferme da un pezzo. Giacinto e Demetrio erano seduti a poppa del loro peschereccio, una barca bianca e rossa di modeste dimensioni. Di solito, funzionava in questo modo: Giacinto tirava fuori un sacco di idee, potremmo fare così e potremmo fare colà, era un inguaribile ottimista. Demetrio, al contrario, era estremamente pessimista e non si lasciava convincere. C’erano volte in cui rifletteva concentrato su qualche trovata di Giacinto, lo vedevi assorto nei ragionamenti e nei calcoli, «Forse forse c’è uno spiraglio» pensava Giacinto, «dai, che questa volta lo convinco!». Abbondava di dettagli, cercava di essere persuasivo, e potremmo fare così, potremmo fare colà, ma si finiva sempre con Demetrio che bocciava secco ogni iniziativa. «È inutile» borbottava, «ci toccherà cercare un altro mestiere. Nel mare non ci sono più pesci…».
E pensare che avevano faticato tanto per potersi permettere quella barca. Iniziarono a lavorare giovanissimi, mettendo da parte i risparmi, finché un giorno riuscirono a comprare un’imbarcazione usata, che, dopo altri mesi di fatiche, fu completamente rimessa in sesto dai due amici, tornando a solcare i mari con loro grande entusiasmo. Quell’entusiasmo, però, insieme alla grinta e alla soddisfazione, erano ormai un ricordo lontano, gli affari andavano malissimo e Corallo – questo il soprannome scelto per la barca – chiedeva nuovamente di essere risistemata, aveva i fianchi arrugginiti, la cabina con la vernice scrostata e la porticina rotta, le panche mangiate dalla salsedine. Pareva una scatoletta di sardine abbandonata, cosa che Brezza avrebbe assai gradito! Non mangiava da giorni, il suo stomaco brontolava e, seppur vuota, di una scatoletta avrebbe leccato i bordi, per ricordarsi che gusto avesse il mare.
Brezza viveva al porto, faceva su e giù instancabilmente, conosceva ogni angolino e si poteva dire che, in un certo senso, era la gatta di tutti coloro che passavano di lì. Nel periodo d’oro, infatti, quando il porto era vivo e con un viavai continuo, c’erano stati giorni di grande abbondanza, giorni in cui praticamente ogni marinaio le allungava qualcosa da mangiare, tanto che talvolta non riusciva nemmeno a finirlo e se lo portava via come scorta per l’indomani, nascondendolo sotto al pontile più defilato. Al di sopra dello stesso pontile, invece, in quel momento Gaia stava provando ad avvicinare con un bastone il suo cappellino. Mentre passeggiava alla ricerca della sua barca preferita, quella con la vela come un arcobaleno, una folata di vento lo aveva fatto volare in acqua.
La sua attenzione, però, fu colpita da un altro oggetto galleggiante, un quadernetto fradicio, o un album da disegno, o qualcosa del genere, non era possibile capirlo con precisione perché il mare lo aveva reso un blocco indistinto di pagine zuppe. Sulla copertina, era riportato un nome: Samir. Gaia poteva decifrarne le lettere, perché frequentava la classe prima e stava imparando a leggere. «Si chiama come la guida che ci accompagnò a vedere le piramidi, quando ero in vacanza in Egitto con i miei genitori» ricordò la bambina, «Era così simpatico Samir! Chissà come sta e se questo quaderno appartiene proprio a lui… O, magari, è qualcosa inviato a lui, e non gli è mai arrivato» aggiunse preoccupata. Mentre Gaia era immersa in quei pensieri, al molo più grande attraccò un barca minuscola, la più piccola che fosse mai giunta nel porto.
Gaia corse a vedere: «Ciao! Io mi chiamo Gaia, e tu?». «Molto piacere, Gaia, io sono Speranza! Non mi fermerò molto, giusto il tempo di fare un giro. Sei del posto? Avresti voglia di accompagnarmi?». Gaia accettò di buon grado. Quando era piccola, dal traghetto scendevano un sacco di persone interessanti, ed era curioso stare a guardarle; ora invece le giornate si somigliavano tutte. Quella proposta le svoltò il pomeriggio! Le ore trascorsero veloci, Gaia e Speranza sembravano conoscersi da sempre. Quando venne il momento dei saluti, infatti, Gaia si sentì triste, nonostante le rassicurazioni dell’amica sul fatto che si sarebbero certamente riviste. Attese che la minuscola barca di Speranza fu un puntino lontano all’orizzonte, dopodiché si avviò verso casa.
Giunta all’inizio del porto, sentì il suono che il traghetto era solito emettere quando attraccava; molti dei pescatori rintanati sui loro pescherecci erano usciti a dare un’occhiata, ed effettivamente il molo si stava riempiendo di turisti. Giacinto propose a Demetrio di accompagnarne alcuni alla scoperta della costa, e Demetrio, senza pensarci un attimo, rispose con un vivace «Sììì!». Era tornato l’entusiasmo di anni fa. Tra le persone sbarcate, c’erano anche dei bambini; uno di loro aveva fatto la conoscenza di Brezza, che aveva rimediato un po’ di coccole… e qualche spuntino! Mentre il sole tramontava, Gaia si accorse che non solo quelle della sua barca preferita, bensì tutte le vele si erano colorate, formando un gigantesco arcobaleno. Fu a quel punto che le tornarono in mente le parole che Speranza aveva pronunciato poco prima di salpare: «Il mare porta più amici che nemici!».
Pensò che Speranza aveva ragione, e che il porto potesse regalarle altri pomeriggi divertenti. Le venne voglia di correre di nuovo al molo e conoscere il nuovo arrivato che stava giocando con la gatta. «Ciao! Io mi chiamo Gaia, e tu?». «Molto piacere, Gaia, io sono Samir! Non mi fermerò molto, giusto il tempo di fare un giro. Sei del posto? Avresti voglia di accompagnarmi?».